Saturday, January 13, 2007

1. Il sogno

Dal diario magnetico del Commissario Copresto.

Stanotte ho fatto un sogno strano e inquietante.
Eravamo tutti invitati in una casa dalle pareti rosse, io e altre due persone che non conoscevo. Non mi sentivo a mio agio: la casa mi faceva venire in mente vecchi ricordi angosciosi, ma non riuscivo a metterli a fuoco e a capire se riguardavano cose che mi erano accadute davvero o se non stessi sognando anche quella sensazione.
Un bambino mi guardava fisso negli occhi. Aveva la faccia gonfia e deforme, gli occhi spostati in fuori.


Io so cosa si prova a chiudere la porta, diceva. Io rispondevo che non capivo, e una parte di me si sentiva in imbarazzo, perchè mi rendevo conto di fissarlo, fissarlo morbosamente.
I conigli dicono il vero, rispondeva. Poi andava a giocare con sua madre e suo nonno.


Io restavo a chiacchierare del più e del meno con gli altri invitati, ma ogni tanto guardavo nella loro direzione. La donna, ricordo, nel sogno era bellissima e fissarla troppo a lungo mi faceva stare male, pungeva in profondità. Per la prima volta, da quando faccio questo mestiere, sentivo la voglia senza uscita di risultare brillante, simpatico, di piacere. Aprivo la bocca, invece, e la richiudevo prima ancora di pronunciare una sola sillaba.
Il nonno, a un certo punto mi si avvicinava.

Se ne vada. Lei tornerà qui quando anche la sua testa tornerà a essere rossa. Può guardare però, se vuole.


Il rossetto nero che aveva sulle labra gonfie e flaccide mi dava il voltastomaco. Me ne abdavo, sì, me ne andavo di corsa, con una paura e uno schifo inspiegabili a otturarmi la testa.
Però aveva ragione: potevo guardare. Desideravo farlo e ne ero in grado. E anche se ero molti chilometri lontano, tutta la scena si stendeva davanti a me.
Gli altri due ospiti erano in una stanza, spoglia e senza finestre come le altre. Una moltitudine di specchi era appesa alle pareti, a supplire quelle aperture che i muri non avevano, e una gigantesca statua che raffigurava una mela era posta proprio in mezzo alla sala.
Gli ospiti (di cui uno era vestito e pettinato come il nonno del bambino mostruoso) ci giravano intorno, chiacchieravano.


Poi iniziavano ad agitare le braccia. Pareva che volessero andarsene di lì, ma non ne fossero in grado, perché qualcosa - come un muro invisibile - ostruiva loro la strada.
Uno degli specchi diventava una finestra. In esso vi vedevano riflesso il volto del vecchio, che si godeva lo spettacolo, leccandosi le labbra e sorridendo con una dolcezza ripugnante.


Urlava oscenità e non faceva altro che ridere, mentre i suoi ospiti erano sempre più spaventati, sempre più nel panico.
Uno dei due ospiti (prigionieri, sarebbe il caso di dire) non riusciva a trattenersi dall'orinarsi addosso, e si stringeva il ventre in preda al panico e all'imbarazzo.


L'altro, che fino a quel momento aveva cercato di tenere il sangue freddo, scoppiava a singhiozzare disperato. Quando piangeva emetteva dei sospiri acuti che mi facevano sorridere, Dio mi perdoni.


Aveva ragione. Aveva fin troppo ragione di piangere.


E io restavo a guardare. Affascinato. Estasiato. Scoprendomi a tirare le labbra mentre ridevo di gusto. Fino alla fine, fino all'inevitabile conclusione.


Sono solo sogni.
Non riesco a evitare però di sentirmi in colpa da stanotte, come se vivere quell'esperienza - anche se non vera - avesse smosso cose che avrei voluto con tutto il cuore tenere sepolte...

1 Comments:

Anonymous Anonymous said...

quando arriva lei abbiamo tutti paura.
eppure guardiamo. guardiamo.

3:16 PM  

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