Monday, January 15, 2007

2.Gaspare Pristillo

Le donne non mi trovano bello, ma poi quando si tratta di prendere dell'uccello vengono tutte da me.
A me non frega un cazzo di essere bello.





Sono la rivincita di una marea di pubblicità di merda sul dentifricio e il dopobarba. Credo di essermi lavato il culo proprio in un pugno di occasioni... che c'è di male? dopotutto, da quel che ne so gli inglesi non sanno cos'è un bidet e vivono bene da generazioni.
Se conoscevo la ragazzina... la tizia che è dparita. No, non ne so niente. Adesso che tutta Sim City è in subbuglio per questa cazzo di tizia, sembra quasi sia una moda dire cose come io la conoscevo, era tanto mia amica, mi ha leccato l'uccello un paio di volte. Se volete capirci qualcosa in questa storia, mettetevi chiaro in testa una cosa.
Nessuno la conosceva.
Una buona percentuale la vedeva di sfuggita, altri più spesso, ma credo che nessuna la conoscesse, se diamo al termine "conoscere" un valore serio.
Io, quando sono arrivato a Sim City facevo lavori di merda. Ero alle pompe di benzina.
Quando i miei amici mi chiamavano al telefono e lavoravo, rispondevo così, sissignore: "Sono alle pompe", e giù risate.
Scopavo un mucchio, a quei tempi.
La prima donna che mi sono fatto credo si chiamasse Gabriella. O Gabriela. Boh. Andava vestita da gran puttana perchè faceva da modella a un pittore segaiolo, con questi stivaloni e il rossetto deciso, scuro su quelle labbra da baciacappella. Era anche l'unica che avesse un po' di carattere, insieme a Luana. Solo che, a differenza di Luana lei si faceva fottere spesso e volentieri, a volte anche sotto gli occhi attoniti del suo convivente pittore.


Luana era diversa, invece. Era una che faceva la spagogna... quando stavo con lei, allo stesso tempo mi chiavavo anche una rossa chiamata Dina, ma non c'era il gusto della conquista.


Dina era come tutte le altre donne: non voleva un uomo bello, ma uno stronzo che le pisciasse in faccia mentre scopava. E' quello il segreto per scoparsi ogni essere di sesso femminile, credetemi: è solo questione di tempo, ma dopo averle trattate abbastanza di merda, tutte le donne cadono ai tuoi piedi. Invece, più le fai sentire importanti, le dai corda e tutto quel genere di roba, più allargano il loro territorio rubando il tuo, finchè non alzi bandiera bianca e vaffanculo a tutti.
Beh, Luana era una di queste donne. Avevo fatto l'errore di mostrarmi troppo signore all'inizio, ed ecco che ogni volta che si trattava di far del buono, lei era sempre lì a scuotere la testa e gno gno gnon te la dò.
Gno gno.


Eppure qualcosa in lei mi piaceva.
Ogni tanto facevo delle fantasie. Ecco, sì, lei me lo faceva venir duro con le fantasie, mentre mi immaginavo cosa potesse fare quel faccino da brava ragazza.
La gente mi accusa di qualcosa perchè sono l'ultima persona ad averla vista prima che morisse. E anche se non è lei la famosa ragazza sparita a cui accennavo all'inizio, anche la sua fu una storia strana. Morta dentro casa sua, così all'improvviso, senza nessuna ragione.
La gente mi guarda strano come se, visto che questa stronza è morta dopo aver litigato con me, io c'entrassi in qualche modo non solo con lei, ma anche con la sparizione di questa cazzo di bambina.
La morte di Luana fu l'inizio dei miei guai.

Perchè arrivò il vecchio.

Saturday, January 13, 2007

1. Il sogno

Dal diario magnetico del Commissario Copresto.

Stanotte ho fatto un sogno strano e inquietante.
Eravamo tutti invitati in una casa dalle pareti rosse, io e altre due persone che non conoscevo. Non mi sentivo a mio agio: la casa mi faceva venire in mente vecchi ricordi angosciosi, ma non riuscivo a metterli a fuoco e a capire se riguardavano cose che mi erano accadute davvero o se non stessi sognando anche quella sensazione.
Un bambino mi guardava fisso negli occhi. Aveva la faccia gonfia e deforme, gli occhi spostati in fuori.


Io so cosa si prova a chiudere la porta, diceva. Io rispondevo che non capivo, e una parte di me si sentiva in imbarazzo, perchè mi rendevo conto di fissarlo, fissarlo morbosamente.
I conigli dicono il vero, rispondeva. Poi andava a giocare con sua madre e suo nonno.


Io restavo a chiacchierare del più e del meno con gli altri invitati, ma ogni tanto guardavo nella loro direzione. La donna, ricordo, nel sogno era bellissima e fissarla troppo a lungo mi faceva stare male, pungeva in profondità. Per la prima volta, da quando faccio questo mestiere, sentivo la voglia senza uscita di risultare brillante, simpatico, di piacere. Aprivo la bocca, invece, e la richiudevo prima ancora di pronunciare una sola sillaba.
Il nonno, a un certo punto mi si avvicinava.

Se ne vada. Lei tornerà qui quando anche la sua testa tornerà a essere rossa. Può guardare però, se vuole.


Il rossetto nero che aveva sulle labra gonfie e flaccide mi dava il voltastomaco. Me ne abdavo, sì, me ne andavo di corsa, con una paura e uno schifo inspiegabili a otturarmi la testa.
Però aveva ragione: potevo guardare. Desideravo farlo e ne ero in grado. E anche se ero molti chilometri lontano, tutta la scena si stendeva davanti a me.
Gli altri due ospiti erano in una stanza, spoglia e senza finestre come le altre. Una moltitudine di specchi era appesa alle pareti, a supplire quelle aperture che i muri non avevano, e una gigantesca statua che raffigurava una mela era posta proprio in mezzo alla sala.
Gli ospiti (di cui uno era vestito e pettinato come il nonno del bambino mostruoso) ci giravano intorno, chiacchieravano.


Poi iniziavano ad agitare le braccia. Pareva che volessero andarsene di lì, ma non ne fossero in grado, perché qualcosa - come un muro invisibile - ostruiva loro la strada.
Uno degli specchi diventava una finestra. In esso vi vedevano riflesso il volto del vecchio, che si godeva lo spettacolo, leccandosi le labbra e sorridendo con una dolcezza ripugnante.


Urlava oscenità e non faceva altro che ridere, mentre i suoi ospiti erano sempre più spaventati, sempre più nel panico.
Uno dei due ospiti (prigionieri, sarebbe il caso di dire) non riusciva a trattenersi dall'orinarsi addosso, e si stringeva il ventre in preda al panico e all'imbarazzo.


L'altro, che fino a quel momento aveva cercato di tenere il sangue freddo, scoppiava a singhiozzare disperato. Quando piangeva emetteva dei sospiri acuti che mi facevano sorridere, Dio mi perdoni.


Aveva ragione. Aveva fin troppo ragione di piangere.


E io restavo a guardare. Affascinato. Estasiato. Scoprendomi a tirare le labbra mentre ridevo di gusto. Fino alla fine, fino all'inevitabile conclusione.


Sono solo sogni.
Non riesco a evitare però di sentirmi in colpa da stanotte, come se vivere quell'esperienza - anche se non vera - avesse smosso cose che avrei voluto con tutto il cuore tenere sepolte...